“Guarda, mammina, guarda, un orsacchiotto! Poverino, l’hanno buttato via, ti prego, salviamolo, per piacere!”
Dal cassonetto all’angolo della strada, quasi fosse affacciato a una finestra in attesa di qualcuno che allunghi una mano e lo prenda, spunta la parte superiore di un orsacchiotto di péluche.
“No, Sara, proprio no, è sporco, con un occhio solo, forse mancano le zampe e poi mi fa schifo prenderlo da lì. Andiamo, smettila di tirarmi il braccio, è agosto, fa un caldo bestiale e non vedo l’ora di entrare in casa.”
“Non puoi sapere in quali condizioni è se non lo vedi tutto. Prima lo mettiamo in lavatrice e poi lo portiamo dal signor Attilio, lui lo sa accomodare di sicuro, è così bravo! Per piacere, mammina, ho detto per piacere…”
Quando Sara dice “per piacere” è convinta che niente possa esserle negato. Angela sospira e, con due dita, effettua il recupero. Sara aveva ragione: è un bel péluche, in ottimo stato. Il solitario occhio di vetro gli regala un’espressione perplessa, sotto la maglietta a righe rosse il pancino è appena un po’ sdrucito.
“Brava, mammina, vedi, è quasi nuovo, tornerà bellissimo. Ora, ha bisogno di un nome: Tommy, ti piace? Dimmi che ti piace! ”
A sette anni appena compiuti, l’entusiasmo è d’obbligo e Angela non può fare a meno di sorridere. Tenendo, con cautela, Tommy per un orecchio, entrano nel cortile del palazzo popolare e salgono al primo piano, finalmente a casa.
Subito, appena sistemata la spesa, bisogna occuparsi del nuovo ospite, renderlo presentabile. Angela rinuncia a un trattamento energico in lavatrice, pulisce e disinfetta a mano, con ottimi risultati.
Eccole dal signor Attilio: la sua bottega, piena di bambole e péluches in restauro è, in realtà, una stanza della casa, la prima, quella con l’ingresso sul grande cortile condominiale. Il bambolaio, uno degli ultimi superstiti di questo antico mestiere – “qui, a Firenze, siamo rimasti in pochi e, a San Frediano, non ci sono che io!” – esamina con occhio clinico il paziente mentre Sara racconta, con abbondanza di particolari, la storia del salvataggio.
“Hai ragione, tesoro, sarebbe stato un peccato lasciarlo nel cassonetto, chissà perché l’hanno buttato via, basta sostituire gli occhi e ricucire dove serve, giusto qualche punto. Il tuo Tommy è stato un orsacchiotto molto fortunato ad averti incontrato. Domattina è pronto, promesso.”
Il pranzo è velocissimo, niente consueto riposino pomeridiano per Sara. Ha troppa fretta di correre da Laura, l’amichetta che abita al secondo piano, bloccata in casa da una settimana a causa di una caviglia lussata per una caduta dalla bicicletta. La visita quotidiana, oggi, è diventata urgente, ci sono novità da raccontare e non si può perdere tempo a dormire.
E’ quasi ora di cena quando squilla il telefono: è Carla, la mamma di Laura.
“Angela, ti dispiace se Sara rimane a cena da noi? Dopo, con Piero, andiamo a prendere un gelato in Piazza S. Spirito, naturalmente ci farebbe piacere venissi anche tu. Sara è qui, vicino a me, ti vuole parlare, ha una cosa da chiederti, della massima importanza! Ti dico fin d’ora che per noi va bene, sempre che tu sia d’accordo.”
“Mamma, mammina, posso restare a dormire qui, stanotte? La sorellina di Laura è dai nonni, in campagna, così c’è il letto a castello libero, non ho mai dormito tanto in alto, con la scaletta per salire! Ora mangiamo i sofficini al formaggio con le patatine fritte e poi il gelato, non in casa ma fuori, dal gelataio, e poi vediamo i cartoni animati e poi andiamo a letto, lei sotto e io sopra, e parliamo tutta la notte ma piano per non disturbare i genitori di Laura. Dì di sì, per piacere!”
Angela non se la sente di rovinare un programma così eccitante. Del resto, di vacanze al mare o in montagna nemmeno a parlarne, non se lo possono permettere, quindi perché vietare una distrazione ad una bambina costretta a trascorrere tutta l’estate in città? Declina gentilmente l’invito rivolto a lei, Sara è in mani più che affidabili, una serata tranquilla e una notte di riposo sono quello che ci vuole, il primo giorno di ferie dopo un anno di lavoro stressante in ufficio.
Il mattino dopo mentre, appena alzata, sta facendo colazione in cucina, aspettando un’ora decente per andare a prendere Sara, un brusio di voci concitate, richiama la sua attenzione: davanti alla bottega del signor Attilio, alcuni condomini – i pochi rimasti a casa per ferragosto – parlano e gesticolano animatamente. Fuori dal portone, sulla strada, si intravede una macchina della polizia. Prima che Angela possa chiedere cos’è successo, il campanello suona più volte.
“Signora, sono il commissario Guarnieri. Apra, devo parlarle, è importante.”
Il giovane commissario, accaldato, in maglietta e jeans, viene subito al punto:
“Stanotte qualcuno è entrato dal suo vicino del pianterreno, il signor Attilio Ricucci. La porta d’ingresso ha segni d’effrazione, bottega e appartamento sono nel caos più totale. Purtroppo, il signor Ricucci deve aver sorpreso il ladro o i ladri, non sappiamo, c’è stata una collutazione, ha battuto la testa sullo spigolo di marmo del tavolo, in cucina. Mi dispiace, non c’è un modo più gentile per dirlo, quel poveraccio è morto sul colpo. Lei, stanotte, ha sentito niente, rumori insoliti, grida?”
“No, commissario, assolutamente niente. Ero stanchissima, la mia bambina ha dormito in casa di amici e io sono andata a letto presto, saranno state le dieci. E poi, la mia camera ha la finestra sulla strada, non sul cortile. Dio mio, povero signor Attilio, così gentile, abitava qui da una vita, era amico di tutti, i bambini lo adoravano, lo chiamavano il dottore delle bambole. L’ho visto appena ieri mattina quando gli abbiamo portato Tommy.”
“E chi sarebbe questo Tommy?”
Angela spiega, in sintesi, gli avvenimenti del giorno precedente. E’ sconvolta, ringrazia il cielo che Sara non sia presente. Sa che dovrà informarla, prima che lo sappia da altri, non sarà facile trovare le parole giuste.
La sera, a cena, Angela e Sara mangiano in silenzio. Sara ha pianto a lungo e, per quanto Angela abbia cercato di coccolarla e insistito perché andasse, come sempre negli ultimi giorni, da Laura, ce ne vuole per farla addormentare. Del resto, anche per Angela, non è facile mostrarsi rassicurante e tranquilla, se pensa a quello che è accaduto al piano di sotto: sola, con una bambina piccola, lo stabile quasi deserto. Agosto è il più crudele dei mesi.
Dopo una notte insonne, sono le nove, Angela esce, con Sara per mano, per andare al mercato. Al ritorno, si rende conto che la porta dell’appartamento è socchiusa. E’ un attimo: sale di corsa le scale, trascinando la piccola che protesta e non capisce, si attacca al campanello, entra da Carla e chiama il 113.
“Signora, la prego, cerchi di calmarsi. Non dovevo essere io a venire, mi occupo di omicidi e non di furti, ma ho voluto accompagnare il collega perché mi è sembrata strana questa coincidenza, questi furti che non sono furti. Perché, vede, dal signor Ricucci non risulta abbiano preso niente, da lei nemmeno, a quanto mi dice, ma anche casa sua è stata buttata all’aria quindi è evidente che, anche qui, dovevano cercare qualcosa di preciso. Su, non pianga, lei e la bambina eravate fuori, state bene e questo è l’importante. Mi scusi, forse è il caso che avverta suo marito, non so, un parente…”
“Sono separata, commissario, da quattro anni e il mio ex marito abita a Roma, con la sua nuova famiglia. Ho un fratello ma è in vacanza con la moglie, all’estero e non mi sembra il caso di allarmarlo. In fondo, come dice lei, non è successo nulla a me e a Sara. Ma non riesco a capire… cosa potevano trovare in casa mia o dal bambolaio?”
“Signora, ho riflettuto su un particolare che lei mi ha raccontato ieri mattina e a cui lì per lì, non avevo dato importanza. Il signor Ricucci vi aveva già restituito l’orsacchiotto trovato nel cassonetto?”
“No, commissario, lo aveva promesso a Sara per l’indomani ma, con quello che è successo, si figuri! Deve essere ancora nella bottega…”
“Non c’è, glielo assicuro. Ma, se fosse stato quello il motivo del furto e quindi l’unico oggetto rubato, perché? E, se era l’orsacchiotto che cercavano, a quale scopo venire, dopo, a casa sua? Non quadra… non c’è logica. Su, torniamo al piano di sopra, dai suoi amici, spero possano darle una mano per rimettere a posto l’appartamento. Meno male che ci sono loro!”
Per le scale, si scontrano con Sara, sfuggita al controllo di Carla. Vuole la mamma. Angela l’abbraccia, forte.
“Vieni qui, piccolina, ti voglio bene. E questo? Da dove salta fuori?”
“Lo conosci, mamma, è Tommy. Sai, il signor Attilio l’aveva sistemato subito, subito, per farmi contenta. Mi ha visto alla finestra, con Laura, e ha fatto cenno di andare a prenderlo. L’avevo lasciato a Laura, prestato, non regalato, s’intende. Tommy è mio, l’ho trovato io ma Laura non può uscire e Tommy le fa compagnia.”
Un’occhiata al commissario, Angela capisce al volo: dolcemente, con una scusa e una carezza, si fa consegnare l’orsacchiotto e allontana Sara, riaffidandola a Carla.
Un paio di forbici e, sul tavolo della cucina, dal pancino di Tommy cadono decine di bustine sigillate di polvere bianca.
Un’ora dopo, sbrigate le prime formalità, e convinta Sara che Tommy deve aiutare la polizia, già sulla porta, il commissario Guarnieri esita e torna indietro.
“Commissario, cos’altro c’è? In due giorni, un pover’uomo ucciso, la casa scassinata, un péluche pieno di cocaina… non le sembra abbastanza?”
“No, signora Gori… Angela, volevo solo chiederle se poteva offrirmi qualcosa di fresco da bere. Se vuole, se le fa piacere. A me piacerebbe molto conoscere meglio lei e Sara.”